27December

Il disegno preferito dei bambini di Domiz

 

Racconta la dottoressa T. A. Muhammad che c’è un disegno che i bambini amano fare più di ogni altro: se stessi a scuola. Seduti in classe insieme ai compagni, o nei cortili a giocare con gli amici.

 

Un disegno normale per qualsiasi bambino, che però qui diventa speciale. Basta spostare lo sguardo dal volto della dottoressa e rivolgerlo attorno per capirlo.

Siamo a Domiz 2, campo per rifugiati siriani in Iraq poco lontano dal centro di Dohuk, nel Kurdistan iracheno.

“Due” perché Domiz 1 – il primo ad essere aperto quando iniziò la crisi siriana e ancora il più grande del paese – è ormai divenuto una città. Le nuove famiglie in arrivo vengono sistemate quaggiù, in questo campo più piccolo, più isolato, dove ancora sono in tanti a vivere nelle tende.

Spazi angusti, strade sterrate o male asfaltate, sistemi fognari improvvisati. E fango ovunque quando arriva l’inverno e inizia la stagione delle piogge.

Luoghi dove giocare liberamente, per i bambini, è difficile trovarne.

Lo spazio del divertimento, la normalità della scuola, vengono spazzati via da una condizione di precarietà in cui si sono trovati all’improvviso, spesso senza neanche avere gli strumenti per capire.

A 3, 4, 6 anni, capire perché non ci si trovi più a casa ma sotto una tenda non è facile. E anche se può sembrare strano “lo stress non è prerogativa degli adulti. Ne soffrono anche i bambini. Solo che spesso non sanno come esprimerlo”, spiega la dottoressa Muhammad, il medico psichiatra che segue i bambini nell’ambito del nostro Programma di sostegno psico-sociale.

Oltre alle necessità primarie, ovvie per chi vive in queste condizioni, una delle cose che manca di più a questi bambini è il gioco, ci spiega.

Un elemento spesso sottovalutato, ma invece “importantissimo per molti aspetti relativi alla crescita, e soprattutto per evitare che in età adulta i traumi subiti e non espressi si sviluppino in patologie gravi”.

Ecco perché qui, a Domiz, il gioco viene anche usato come terapia.

“Ci aiuta ad identificare disordini da stress post-traumatico: da come un bambino si relaziona con i suoi coetanei, da come disegna, da quali giochi preferisce, capiamo moltissime cose”.

Ad esempio, che gli amici per i bambini rappresentano un mondo intero. Essersene separati per via della guerra, non avere più alcuna notizia di loro, è un trauma ed un dolore.

“Sono davvero tanto preoccupati”, racconta la dottoressa. “E questo crea loro ansia, nervosismo. Inoltre nessuno può capirsi meglio che i bambini tra di loro: avere i propri amichetti vicino significa confidarsi, sostenersi nella crescita, sentirsi capiti. Questo spesso in contesti familiari stressati, in cui i genitori sono preoccupati di come sopravvivere, non avviene. E soffrono di solitudine”.

E allora, ecco che nei loro disegni ricorre la scuola: un ambiente che restituisce frammenti di normalità, istanti di serenità e di gioco condiviso, diritto all’infanzia.

“Evidentemente a scuola si sentivano felici e ricrearla attraverso i disegni, la fantasia, diventa un modo per evadere da un ambiente respingente o dalle liti familiari”, spiega la dottoressa.

“D’altra parte serbano ricordi molto pesanti: la fobia più diffusa qui è quella del temporale, perché i rumori della pioggia sulle tende vengono amplificati, e ricordano quelli dei bombardamenti”, racconta.

Spiega la dottoressa che questi bambini non hanno bisogno di medicinali, ma di essere ascoltati, rincuorati, incoraggiati e trattati con affetto.

Hanno bisogno di spazi per giocare, di scuole in cui studiare, di cortili in cui correre e nascondigli in cui costruire segreti e inventare storie.

“Per questo è così importante il nostro intervento qui, la creazione di momenti di gioco-terapia, l’impegno delle organizzazioni di solidarietà per la costruzione di scuole”.

Restituzione di frammenti di normalità, grazie ai quali poter provare ad immaginare un futuro in cui le tende siano un nascondiglio in cui giocare, non nuove case in cui adattarsi a vivere, aspettando il prossimo temporale.

 

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